Il Guernica conteso. Percezione, circolazione e ritorno di un dipinto che anche Franco avrebbe voluto
Parole chiave:
politica culturale, Transizione, tardo-franchismo, Guernica, Picasso, esilio, riconciliazione, democraziaAbstract
Il Guernica di Picasso rappresentava per il regime di Franco il chiaro esempio dell’opera di un comunista «nemico della Nazione» che, come la stessa arte d’avanguardia, portava in sé i germi del «separatismo» e della depravazione «massonica» della modernità artistica. Nonostante ciò, a partire dagli anni Cinquanta, i vertici del regime iniziarono a interessarsi all’opera con sempre più insistenza e a cercare diverse vie per riportare il grande «esiliato» in Spagna: nel 1968, con il beneplacito dell’ammiraglio Carrero Blanco e lo stesso Franco, la richiesta divenne ufficiale. In questo saggio, grazie all’analisi delle motivazioni che spinsero la dittatura a desiderare il Guernica nello stesso momento in cui Picasso e la sua produzione si ergevano a icona della resistenza culturale antifranchista, si pongono in evidenza continuità e rotture tra la politica culturale franchista e quella transizionale. Il 10 settembre del 1981, dopo lunghissime trattative, il Guernica termina il proprio esilio e trova nuova collocazione nel Casón del Buen Retiro del Museo del Prado. L’indomani El País titola La Guerra ha terminado. Il Guernica da oggetto del desiderio governativo si converte in simbolo collettivo di pacificazione nazionale, consenso e libertà democratica. Grazie alle fonti dell’Archivo General de la Administración e della Dirección General de Relaciones Culturales, si studiano luci ed ombre, si pongono in evidenza mutevoli percezioni e significati del controverso rapporto tra l’opera picassiana e l’amministrazione spagnola nel delicato passaggio dalla dittatura alla democrazia.
Ricevuto: 01-10-2008
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